Reggio, Giornate Repubblicane/Un dibattito a partire dalle radici storiche

Minoranze impegnate nell’interesse del Paese

Le quattro giornate Repubblicane di Reggio: Commemorazione ferimento Garibaldi presso l’omonimo Cippo a S. Eufemia d’Aspromonte. Il discorso del segretario nazionale Pri.

di Francesco Nucara

Ogni anno torniamo qui in Aspromonte in questo magnifico posto, circondato da alberi ultrasecolari, a ricordare il sacrificio di Giuseppe Garibaldi.

Di sacrificio trattasi, perché Garibaldi in quella occasione non volle combattere contro coloro che con grande umanità e spirito di connazionalità chiamò i "fratelli italiani". Essi però non si consideravano tali, bensì piemontesi dell’esercito regio e, mentre i garibaldini non usarono le armi, i "piemontesi" agli ordini del generale Cialdini, che poco amava e ancor meno aveva amato Garibaldi, fecero fuoco contro soldati che assistevano impotenti. A nulla valse che il comandante Pallavicini a capo scoperto si inginocchiasse per salutare Garibaldi ferito. Chiaramente la sensibilità e il rispetto dei valori umani del Pallavicini furono ben diversi da quelli del generale Cialdini.

A partire da oggi affronteremo quattro intense giornate di dibattito politico, all’interno del villaggio repubblicano allestito sul lungomare di Reggio. Vogliamo dare quindi qui riuniti in questo sito di tanta storica importanza una lettura politica di quell’avvenimento del 29 agosto 1862.

Garibaldi non ripeté il percorso dei Mille perché infatuato del successo di qualche anno prima. Per lui, come per Mazzini, l’Unità d’Italia non poteva considerarsi compiuta senza la conquista di Roma.

E di ciò erano convinti sia il Re Vittorio Emanuele II che il capo del governo Bettino Ricasoli, tanto che entrambi spinsero Garibaldi alla creazione di una società di tiro a segno da diffondere su tutto il territorio dell’allora Regno d’Italia. Anche a Reggio Calabria fu creata una società di questo tipo e di ciò si ha documentazione. Ma evidentemente il Re si fidava poco di Garibaldi, dei suoi successi e della sua popolarità, così gli affiancò il figlio Umberto e il generale Cialdini, che come abbiamo visto guidò le truppe che aprirono il fuoco in Aspromonte sull’inerme generale.

All’inizio del marzo 1862, come scrive Paolo Mieli sul "Corriere della Sera", il nizzardo presiede i lavori che condurranno alla fusione delle associazioni mazziniane e garibaldine. Tra le ambiguità di Umberto Rattazzi e Vittorio Emanuele II, che si preoccupava dell’Austria e della Francia, Garibaldi venne invogliato a partire per il Meridione.

La generosità del generale non aveva fatto i conti con le ambiguità di Vittorio Emanuele II, "suddito" anch’egli di Napoleone III, che difendeva il potere temporale del papato, e non avrebbe mai accettato l’ingresso dei garibaldini a Roma. Fu così che, per "codineria" nei confronti di Napoleone III, il Re d’Italia per "grazia di Dio e volontà della nazione" (che allora come oggi non contava niente) ordinò al generale Cialdini di fermare l’avanzata di Garibaldi ormai giunto in Calabria.

E’ doloroso leggere i diari dei garibaldini nei giorni antecedenti il ferimento di Garibaldi ed è emozionante leggere il diario del medico garibaldino Albanese, che ad horas scriveva sulle condizioni della ferita.

Vale la pena citare l’ordine del giorno del generale del 24 agosto, appena cinque giorni prima del ferimento "… Io mi inchino alla Maestà di Vittorio Emanuele, Re eletto dalla nazione, ma sono ostile ad un ministro che non ha nulla di italiano, fuorché il nome …".

Oggi potremmo dire che ci inchiniamo davanti alla Costituzione ma non ai ministri dei governi che non hanno nulla di italiano, visto che considerano la Calabria un lembo strappato, lacero e inutile di un’Italia che non vuole diffondere benessere e pari opportunità, ma difendere e mantenere privilegi e ricchezze laddove si trovano. I repubblicani si sentono e sono gli eredi politici e morali di Giuseppe Mazzini, ma bisogna ricordare che l’avventura risorgimentale di Mazzini e Garibaldi ebbe un inizio e una matrice comuni.

In seguito però subirono incontri e scontri, tanto che Garibaldi entrò nel Parlamento sabaudo mentre Mazzini rifiutò di farlo, benché eletto nella circoscrizione di Messina. Mazzini infatti voleva la Repubblica, Garibaldi invece anteponeva l’Unità d’Italia.

Come scrive Mario Isnenghi [Breve storia d’Italia ad uso dei perplessi (e non)]: "Ebbene, questo è il clima verso la metà del secolo con i fatti politici e militari – che quindi finiscono spesso male – e che esprimono e si collegano a questa cultura dell’ideale nobile e incompreso. Mazzini e Garibaldi sono temperamenti diversissimi, ricoprono parti distinte, hanno anche itinerari politici che non sempre coincidono. Però in comune – con tante altre stelle del firmamento patriottico – hanno il peso e il fascino della sconfitta gloriosa delle minoranze eroiche che pagano per le maggioranze".

Sono questi fondamentali concetti alla portata dei politici calabresi e di quelli nazionali? Crediamo di no! Ma noi continuiamo a combattere, certi che dopo di noi ci saranno altri che, come noi, si dimostreranno interessati al raggiungimento, finalmente, del bene comune.